Una canzone in cui l’irruzione di potenti chitarre da una parte, e delle tastiere dall’altra, scaraventa ora verso il rock, ora verso l’elettronica, un pop internazionale e al passo con i tempi, e dove tutto sembra incastrarsi a perfezione: l’andamento melodico, la tonalità, gli arrangiamenti (curati da Davide Ghione e dallo stesso Zonca), niente che sia fuori posto, ogni aspetto del brano ha un altissimo livello di qualità, costringendo l’ascoltatore a non lasciarsi sorprendere soltanto dalle parole del testo, piuttosto che dal ritmo del brano, questa volta è la canzone nel suo insieme, non una sua parte, a conquistarci fin da subito.
Il testo, nello specifico, sia avvale di una serie di rimandi simbolici, che ripercorrono l’intera durata del pezzo, in una circolarità scenografica che ripercorre come un cortometraggio tutta la canzone; non a caso Stefano Zonca è anche il regista di questo videoclip, come di altri suoi precedenti singoli. E così nelle immagini figurate, che l’ascoltatore elabora ascoltando il pezzo, si alternano di continuo e rappresentano il diverso atteggiamento in cui ci poniamo di fronte al mondo, il costante ripiegamento in noi stessi, per nasconderci agli occhi degli altri, e, la necessità di tenere testa alle nostre paure, a tutto quello che ci frena e ci lascia in disparte.
“Hai seppellito il cuore in qualche posto senza luce, tu vorresti buttar fuori, rabbia, urla e delusione, e dentro senti un vuoto, che si riempirebbe il mare…” I versi della strofa sono descrittivi, mentre il ritornello, è espresso all’imperativo: quasi che più che di un invito, si trattasse di un’intimazione, in un susseguirsi di botta e risposta proveniente però, sempre dalla stessa voce. La voce di Stefano che, se nella strofa è sussurrata, nell’inciso, prende possesso di tutto lo spazio a sua disposizione: una tonalità sommessa, volta a delineare lo stato d’animo di chi è preda di sconfitte e delusioni; l’altra tonalità, invece, per rendere conto del senso che si porta appresso, ne viene ad acquisire la forma stessa: “Ma adesso è ora di rialzarsi fuori c’è un bel sole, metti quel vestito che si va al mare, e se hai quel sorriso triste, tu non sparire…”
Quella luce prima inesistente, deve fare ora i conti con quella del sole, una luce calda e naturale,
e quelle urla, che si stentava a trattenere, ora escono allo scoperto, attraverso l’innalzamento tonale della voce di Stefano che tocca note altissime, inseguendo a pieno ritmo l’andamento musicale, senza restare indietro di un tono, per poi di nuovo scendere nella strofa successiva: “Non hai voglia di parlare, chiudi fuori anche la fame, resti sola nella stanza…. prometti che trovi una ragione… e i tuoi nuovi tatuaggi sono fuoco e paradiso, raccontano qualcosa, che hai già scritto sul viso”.
La nostra chiusura dalla realtà circostante può essere tale che, anche ciò che fa parte di noi, come la fame e le pelle, da qualcosa di “esterno”, diventano qualcosa di “estraneo” e i tatuaggi, diventano anche questi, il simbolo di uno scambio comunicativo tra fuori e dentro, tra il nostro io interiore e l’esterno. E siamo allo special, il momento in cui le tastiere innalzano l’ennesimo inno, quando ci accorgiamo che quel luogo senza luce dove prima ‘il cuore era stato seppellito, non è altro che uno degli angoli bui della nostra anima: quello stesso luogo oscuro che prima ci divorava, fino ad esaurire la nostra stessa fame, diventa soltanto uno degli antri interiori in cui nascondiamo ciò che ci risulta inaccettabile, ma il resto, è ancora rischiarato dal sole.
“Chiudi a chiave il buio, non ci pensare e se qualche sera non trovi ragione, non provare a scappare, perché è già ora di uscire”: un urlare a squarciagola la sensazione di libertà nell’evadere da tutto ciò che ci imprigiona, per uscire allo scoperto, ma non un fuga dalla realtà, uno nascondersi: “non provare a scappare” ci sta dicendo Stefano. Si tratta di un accettare le circostanze, e sfruttarle a proprio vantaggio, prendendo da ogni situazione, l’occasione per renderci migliori. Se l’essere isolati in noi stessi è la nostra prigione, scappare non è che un modo per fuggire oltre che da noi, anche dagli altri: quel muro alzato tra noi e ciò che c’è fuori di noi, deve essere abbattuto: occorre “rialzarsi”appunto , superare quel confine e non temere che ciò che sta dall’altra parte.
E proprio i confini, non solo musicali, date le sonorità tutte internazionali di un brano destinato a cambiare le sorti della nuova scena indipendente italiana, ma anche il confine stesso tra interno e d esterno, tra ciò che sta fuori, e ciò che sta dentro di noi, diventa tema portante del brano, in una serie di rimandi di parole, che si fanno portavoce, assieme alla musica, di un significato metalignuistico, capace di rivelarci la chiave di accesso alla speranza.
Sonia Bellin